Sofia Cilenti ha ventitrè anni, trascorsi tutti con la presenza fissa della bicicletta, la sua forza.
Il ciclismo è sempre stato di casa. Mio papà è allenatore di una squadra di giovanissimi, mia mamma è giudice di gara, mentre mio fratello ha corso fino a qualche anno fa. Ho iniziato per caso, ma ancora oggi, ogni qual volta che salgo in bici, mi diverto come una bambina.”


Inizia a gareggiare da G5 e col tempo arrivano anche i primi risultati. Nonostante questi ultimi però, Sofia considera la vita la sua vittoria più grande.
“Al primo anno da junior, dopo un costante malessere mi è stato diagnosticato un tumore. Appena avuta questa notizia, mi sono chiesta se fossi mai riuscita a diventare grande, avevo diciassette anni. Di notte temevo di addormentarmi e di non riuscire più a svegliarmi. Ho dovuto sottopormi a cicli di chemioterapia e ho subito diversi interventi. Nei giorni in cui sono stata peggio faticavo anche solo a parlare. Sono arrivata a considerare tutto questo come la mia routine quotidiana.”

E’ proprio durante la sua gara più importante, che Sofia fa un’importante promessa con sé stessa, inizia a combattere con un obiettivo, come quando si vede il triangolo rosso e si pensa alla linea d’arrivo.
Mi ero promessa che se fossi guarita, sarei tornata in bici, e in caso fosse stato possibile, anche a gareggiare. Dopo mesi la tac era pulita. Avevo vinto io.”

Solo a distanza di qualche mese, riesce a riprendersi la vita in mano, insieme alla bici.
“Non ho seguito un programma di allenamento specifico, ho rispettato il mio fisico e sono andata a sensazioni. La mia prima gara, dopo la ripresa, è stata fantastica. Non pensavo di poter dare così tanto e una volta scesa dalla bici sono scoppiata in un pianto liberatorio.”

L’anno dopo passa nella categoria elitè nella Footon Servetto, mentre da due anni porta la maglia della Conceria Zabri di Manuel Fanini. Inoltre quest’anno realizza il grande sogno: prende parte al Giro Rosa.
“Essere in gruppo con atlete che ho sempre ammirato dietro uno schermo è stata un’emozione unica. Quando la stanchezza si faceva sentire pensavo che ormai ero al Giro, e non mi sarei potuta arrendere proprio in quel momento, ho lottato fino all’ultimo metro. Ho abbandonato la corsa l’ottava tappa, avevo ancora un 35% di tempo massimo sulla prima, ma nonostante ciò, i giudici mi hanno messa fuori gara. Se è presente un regolamento, andrebbe rispettato.”

Sofia è la dimostrazione che anche dopo un mostro di malattia si può tornare a vivere, e magari, anche correre un Giro d’Italia.
“Ho ripreso a frequentare la scuola, l’anno prossimo mi diplomo. Sogno una famiglia, e nonostante sia stata sottoposta a cure pesanti, spero di riuscire ad avere un bambino. Non vedo un futuro in sella ad una bicicletta: riconosco i miei limiti e penso che il ciclismo femminile comporti un ingente dispendio di denaro da parte delle atlete stesse per praticarlo, inoltre non c’è guadagno.

Ho ricominciato a correre perché non volevo che la malattia mi portasse via nulla dalla mia vita e per dimostrare a me stessa che potevo farcela

Francesca Daniel